sabato 20 ottobre 2012

Intervista a Maria Elena Gattuso

Buon week end, blogger-friends!
Come state? Spero bene.

Oggi scade il termine per presentare gli incipit e partecipare al contest di compleanno del blog Scrivi un incipit e vinci un libro. Per chi di voi sta partecipando: in bocca al lupo!

Andiamo però all'appuntamento odierno. 

La nostra Briseide ha intervistato per voi l'esordiente Maria Elena Gattuso, autrice del romanzo IL RAGAZZO DEL DESTINO (Il Ciliegio Edizioni).

Nel lasciarvi all'intervista, vi auguro un buon fine settimana!

Intervista a Maria Elena Gattuso
a cura di Briseide


Ciao Maria Elena, benvenuta sul nostro blog, ti va di presentarti ai nostri lettori?
Ciao sono un’autrice esordiente come tante, con l’intento di far conoscere la propria opera, il che non è per niente facile. Per questo ti ringrazio per lo spazio che mi hai dedicato sul vostro blog! Mi piace la lettura e il teatro, anche se molte volte penso che avrei fatto meglio a non complicarmi così tanto la vita. Non che sia chissà quanto complicata, però ho sempre preferito le cose semplici, dirette, sicure e senza scocciature. Ma quelle purtroppo sono inevitabili, temo. 


Com’è nata la trama del romanzo “Il ragazzo del destino”? E cosa c’è in te della protagonista Rebecca?
L’ispirazione per l’inizio e la fine del romanzo è nata in seguito a un mancato incidente. Il resto, ovvero il caos nella parte intermedia della storia, si è sviluppato col tempo. Spesso non sapevo dove certe azioni mi avrebbero condotta ma alla fine sono riuscita… Siamo riusciti (io o i personaggi, questo ancora non lo so…) a far quadrare il tutto.                    
Cosa c’è di Rebecca in me? È una domanda quasi nostalgica, perché non ho più sedici anni. Sono passati ben otto anni da quando è nato questo personaggio che in molti aspetti mi somigliava molto… Direi che, per certi versi, mi somiglia tuttora.

Alcuni ritengono che gli schiaffi ricevuti dalla protagonista siano l’unica nota stonata del tuo romanzo... Cosa ne pensi? Cosa vorresti rispondere loro?
Sinceramente simili commenti a riguardo mi hanno fatto sorridere. Il libro non è un inno alla violenza. Ho soltanto cercato di spiegare il perché di simili gesti, senza per questo giustificarli o condividerli. Non tutti i personaggi sono completamente buoni, perfetti e impeccabili. Inoltre se prendiamo “lo schiaffo” come elemento a se stante è un conto, se invece ci addentriamo nella storia, si riesce a comprendere il perché si è scatenata una tale azione. Questo non vuol dire che l’autore sia favorevole alla violenza o assurdità simili. Posso capire che alcune persone siano “sensibili” a tali azioni, ma allora i thriller? I romanzi storici dell’inquisizione spagnola? Uomini e Topi di Steinbeck? 1984 di Orwell? Vogliamo parlarne? Io penso che la violenza in una qualsiasi storia possa avere un significato profondo, se dietro c’è una struttura solida in grado di mandare un messaggio costruttivo.

Quali sono secondo te gli ingredienti per realizzare il romanzo perfetto?
Se li sapessi, non penso li rivelerei! Non credo ci sia una ricetta, non si “impara” a scrivere. È un qualcosa che nasce da dentro, che coltivi, come un piccolo germoglio e che piano piano – a volte con costanza, altre per pura combinazione – riesci a plasmare come una pianta. Ma esistono piante così meravigliose e così diverse al mondo, che ognuno ha la possibilità di seguire il proprio stile. Per scrivere bene bisogna leggere, leggere tanto. Se adesso rileggo il libro, mi rendo conto che determinati passaggi e certe espressioni oggi non le userei mai. Poi mi rendo conto che ho iniziato a scriverlo ben otto anni fa, e allora tento di passarci sopra, invano! 

Stai già pensando ad un nuovo progetto letterario?
Sì, ma devo trovare il tempo per svilupparlo a dovere. Per il momento non dico altro!

Un’ultima domanda, ormai un must per tutte le interviste di YALit, cosa vuol dire per te “scrivere”?
Scrivere è essere se stessi in milioni di modi e forme; è un divertirsi a esplorare un mondo magico, dove ogni personaggio ha il suo messaggio da portare e il suo modo di esprimersi.  I personaggi sono come delle corde, si intrecciano tra loro e ciò provoca delle azioni/reazioni. È questo il compito dello scrittore: decidere quali corde usare e in che modo annodarle e, in base a questo, costruire una rete che ha luogo all’inizio solo nella sua testa, successivamente sulla carta.

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